Avvocato Pallanch

TOMBINO SPORGENTE: NIENTE RISARCIMENTO

La Suprema Corte torna ad esprimersi in materia di risarcimento per insidia stradale.

Il cittadino che inciampa, cade e si provoca lesioni a causa di una insidia stradale (un tombino scoperto) non ha diritto ad essere risarcito se l’insidia si trova vicino a casa. In questo caso la Corte presume che la caduta sia dovuta alla disattenzione dello stesso danneggiato, il quale deve conoscere le condizioni della strada che percorre ogni giorno e quindi deve stare attendo a dove mette i piedi.

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Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 13 giugno – 29 novembre 2019, n. 31217

1. x convenne in giudizio il Comune di Messina, davanti al Tribunale di quella città, chiedendo il risarcimento dei danni da lei patiti in conseguenza della caduta avvenuta su un tombino sprovvisto di copertura, sito in una via del centro cittadino.
Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale rigettò la domanda e condannò l’attrice al pagamento delle spese di giudizio.
2. La pronuncia è stata appellata dalla parte soccombente e la Corte d’appello di Messina, con sentenza del 4 luglio 2017, ha parzialmente accolto il gravame in relazione alla sola misura della liquidazione delle spese, ha confermato nel resto la sentenza di primo grado ed ha integralmente compensato le spese del giudizio di appello.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Messina ricorre x con atto affidato a tre motivi.
Resiste il Comune di Messina con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e le parti hanno depositato memorie.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ.; con il secondo si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ.; con il terzo si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132, n. 4), del codice di procedura civile.
In particolare, i primi due motivi contestano l’applicazione delle suindicate disposizioni relative alla responsabilità del custode (primo motivo) ed alla responsabilità da illecito in conseguenza della presenza sulla strada di un tombino aperto, costituente un’insidia (secondo motivo); mentre il terzo lamenta, in sostanza, un vizio di motivazione.
2. I tre motivi, da trattare congiuntamente in considerazione della loro evidente connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
2.1. Questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1. febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
2.2. La Corte d’appello ha fatto buon governo di tali principi.
La sentenza impugnata, infatti, con un accertamento congruamente motivato e privo di vizi logici e di contraddizioni, non suscettibile di ulteriore modifica in questa sede, ha innanzitutto riconosciuto che la domanda risarcitoria doveva essere considerata come fondata anche sull’art. 2051 cod. civ., così come ha dato atto che il tratto di strada dov’era avvenuta la caduta era interessato da «una incuria ed un disinteresse manutentivo parecchio prolungati», per cui non era pensabile che nessun dipendente della pubblica amministrazione si fosse avveduto di tale situazione.
Tanto premesso, però, la Corte di merito ha osservato che la situazione dei luoghi era tale, per estensione e visibilità, da dover mettere l’utente della strada «in doverosa allerta e attenzione»; la caduta era avvenuta intorno alle 20.15 di una sera di luglio, quindi in condizioni di sufficiente illuminazione diurna, la vittima era una donna di 50 anni, come tale pienamente in grado di percepire il pericolo esistente; per di più, era emerso dall’istruttoria che ella abitava proprio nei pressi del luogo del sinistro, per cui la situazione di dissesto non poteva non esserle nota. Da tali elementi la Corte d’appello ha tratto la conclusione per cui il comportamento della vittima era stato «altamente negligente e disattento», né la presenza di un tombino con un tondino di ferro sospeso al di sopra poteva ritenersi elemento sufficiente per l’affermazione della responsabilità del Comune. In altre parole, quindi, la condotta dell’appellante si era caratterizzata per una macroscopica negligenza, tanto da interrompere, e quindi escludere, il nesso tra l’anomalia della cosa in custodia e l’evento. A ciò la Corte messinese ha aggiunto, in punto di diritto, che l’accertamento del comportamento colposo del danneggiato consentiva anche di ritenere irrilevante l’inquadramento normativo della fattispecie nell’ipotesi di cui all’art. 2051 cod. civ. ovvero in quella dell’art. 2043 del medesimo codice.
2.3. A fronte di tale motivazione si infrangono le doglianze contenute nei motivi di ricorso. I primi due, infatti, pongono censure di violazione di legge che sono prive di fondamento, perché la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione delle norme suindicate e della giurisprudenza di questa Corte. Il terzo motivo prospetta, in realtà, una censura di vizio di motivazione mascherata da violazione di legge; si tratta di una censura inammissibile in relazione al parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., attualmente vigente, e comunque priva di fondamento, posto che la sentenza ha dato ampio conto delle ragioni della propria decisione.
3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

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