DANNO DA LESIONE DEL RAPPORTO PARENTALE – Si configura non solo con la morte, ma anche con le gravi lesioni del familiare.
Nella sentenza in commento la Suprema Corte riconosce il diritto al risarcimento del danno da perdita parentale non solo in caso di decesso, ma anche in caso di lesioni subite dal familiare.
Qualora tali lesioni siano gravi al punto da comportare una compromissione del rapporto parentale, inteso come rapporto dinamico-relazionale (tutelato dalla Costituzione) il cosiddetto “danno parentale” si potrebbe infatti configurare.
Si ricorda che il danno parentale rappresenta quel peculiare aspetto del danno non patrimoniale consistente nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonché nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto con il proprio familiare (v. Corte di Cassazione n. 23469 del 28 settembre 2018).
Tale particolare voce di danno non patrimoniale consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita (v. Cassazione sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992).
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava un sinistro nel quale un ragazzo aveva subito un danno di natura psichica in termini del 45 – 50%.
Ovviamente, la presenza di un danno di tale importanza comporta un consistente cambiamento del rapporto dinamico-relazionale tra la vittima del sinistro e i familiari di quest’ultima. Certe dinamiche familiari, fatte di prassi, di abitudini, di quotidianità, possono cessare del tutto o comunque venire drasticamente ed irreparabilmente compromesse.
In questo senso, la sentenza in commento precisa che il profilo dinamico-relazionale non rappresenta un quid pluris rispetto al danno da perdita da rapporto parentale, tale (semplicemente) da incrementare la misura dell’importo risarcitorio da liquidare, ma è una componente intrinseca del danno da perdita del rapporto parentale già sul piano delle qualificazioni giuridiche.
Trattasi di danno non patrimoniale iure proprio del congiunto il quale è ristorabile in caso non solo di perdita, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, ma anche di mera lesione del rapporto parentale (Cass. 31 maggio 2003, n. 8827; 20 agosto 2015, n. 16992)
estratto da:
Cassazione civile sez. III, 28/09/2018, (ud. 27/06/2018, dep. 28/09/2018), n.23469
(…)
Venendo alla ritenuta esclusione del danno da perdita del rapporto parentale va detto che il giudizio di fatto circa l’assenza di prova del danno dinamico – relazionale, una volta che si è premessa la non configurabilità del danno da perdita del detto rapporto, si traduce in errore di diritto perché comporta l’astratta negazione della pretesa risarcitoria, e non la mera confutazione della sua fondatezza sul piano delle circostanze di fatto. Il profilo dinamico-relazionale non è invero un quid pluris rispetto al danno da perdita da rapporto parentale, tale da incrementare la misura dell’importo risarcitorio da liquidare, ma è una componente intrinseca del danno da perdita del rapporto parentale già sul piano delle qualificazioni giuridiche. Sulla base del principio di integralità del risarcimento si deve considerare infatti il profilo dinamico-relazionale, unitamente alla sofferenza interiore patita dal soggetto, quali articolazioni costitutive del danno da perdita del rapporto parentale. La decisione va pertanto valutata sotto il profilo del giudizio di diritto.
A questo proposito va subito rammentato che il pregiudizio da perdita del rapporto parentale rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale e consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonché nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto. Trattasi di danno non patrimoniale iure proprio del congiunto il quale è ristorabile in caso non solo di perdita, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, ma anche di mera lesione del rapporto parentale (Cass. 31 maggio 2003, n. 8827; 20 agosto 2015, n. 16992). Una volta riconosciuta la spettanza del danno in discorso anche nel caso di mera lesione del rapporto parentale vanno precisate le componenti di tale danno cui si è finora fatto cenno.
Ai fini di tale precisazione va richiamata la più recente ed ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass. 901/2018 e 7513/2018) in tema di risarcimento del danno alla persona, ed in particolare i seguenti principi.
1) Sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.).
2) La natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle sezioni unite della S.C. (Corte cost. 233/2003; Cass. ss.uu. 26972/2008) deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:
a) di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;
b) di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.
3) Nel procedere all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 235/2014, punto 10.1 e ss.) e del recente intervento del legislatore sugli artt. 138 e139 Codice delle assicurazioni come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, – la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), ed il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale – deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sè, della paura, della disperazione) quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
4) Nella valutazione del danno alla salute, in particolare – ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto (Cass. 8827-8828/2003; Cass. ss.uu. 6572/2006; Corte cost. 233/2003) – il giudice dovrà, pertanto, valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale – che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se stesso – quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da se”).
5) In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
6) Nel caso di lesione della salute, costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali cd. “categorie” o cd. “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’art. 32 Cost.).
7) Non costituisce duplicazione risarcitoria, di converso, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss. (ove si legge che la norma di cui all’art. 139 c.s.a. non è chiusa anche al risarcimento del danno morale”), e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 del C.d.A., alla lettera e introdotto dalla legge di stabilità del 2016.
8) In assenza di lesione della salute, ogni vulnus arrecato ad un altro valore/interesse costituzionalmente tutelato andrà specularmente valutato e accertato, all’esito di compiuta istruttoria, e in assenza di qualsiasi automatismo (volta che, nelle singole fattispecie concrete, non è impredicabile, pur se non frequente, l’ipotesi dell’accertamento della sola sofferenza morale o della sola modificazione in pejus degli aspetti dinamico-relazionali della vita), il medesimo, duplice aspetto, tanto della sofferenza morale, quanto della privazione/diminuzione/modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal soggetto danneggiato (in tal senso, già Cass. ss.uu. 6572/2006).
9) Costituisce, pertanto, un evidente paralogismo sul plano fenomenologico, prima ancora che giuridico (come, oggi, anche normativamente confermato dalla riforma degli artt. 138 e 139 C.d.A.), quello secondo cui il danno sarebbe costituito, in una dimensione di impredicabile unità, “dalla sofferenza del non poter più fare”, perchè la più superficiale della disamina delle conseguenze di una grave lesione di un diritto costituzionalmente tutelato, come quello alla relazione parentale, consente ictu oculi di affermare, in alcuni casi, che, nonostante la intensa sofferenza morale, questa non incida, in tutto o in parte, sulle attività dinamico-relazionali del soggetto leso, appartenendo ad una diversa dimensione dell’essere persona.
La liquidazione finalisticamente unitaria del danno alla persona (non diversamente da quella prevista per il danno patrimoniale) avrà pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore (cui potrebbe assimilarsi, in una suggestiva simmetria legislativa, il danno emergente, in guisa di vulnus “interno” arrecato al patrimonio del creditore), quanto sotto quello dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (danno idealmente omogeneo al cd. “lucro cessante” quale proiezione “esterna” del patrimonio del soggetto).
Il giudice di merito, una volta riconosciuta la configurabilità anche in presenza di mera lesione del danno da perdita del rapporto parentale, dovrà accertarne la concreta ricorrenza sulla base dei principi di diritto sopra enunciati.
(…)
PQM
accoglie il primo motivo del ricorso, con assorbimento degli ulteriori motivi, e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2018


