Avvocato Pallanch

SEPARAZIONE GIUDIZIALE – L’abbandono del tetto coniugale non è sempre causa di addebito.

I coniugi possono chiedere la separazione giudiziale quando si verificano:

A) fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza

B) fatti tali da recare pregiudizio alla educazione della prole.

La legge stabilisce inoltre che la separazione sarà ADDEBITATA ad uno dei coniugi, qualora sia dimostrato che la causa della separazione (cioè le sopra viste ipotesi A) o B)) sia da ricondursi esclusivamente ad uno o più specifici comportamenti contrari ai doveri matrimoniali posti in essere dal coniuge.

La sentenza in commento approfondisce l’ipotesi A), chiarendo che l’abbandono dell’abitazione coniugale non identifica necessariamente la causa della separazione.

Si dovrà effettuare un’analisi caso per caso al fine di comprendere se l’affectio coniugalis (cioè il legame affettivo e spirituale tra marito e moglie) sia venuta meno proprio e solo a causa dell’abbandono della casa familiare o se invece tale abbandono rappresenti una mera conseguenza del fatto che l’affectio sia venuta meno tempo prima, senza una specifica causa o addirittura per causa esclusivamente riconducibile all’altro coniuge.

La Cassazione spiega infatti che “Non costituisce violazione di un dovere coniugale la cessazione della convivenza quando ormai il legame affettivo fra i coniugi è definitivamente venuto meno e la crisi del matrimonio deve considerarsi irreversibile”

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 2 ottobre 2018 – 23 aprile 2019, n. 11162

 

1. Il Tribunale di Sassari con sentenza n. 52/2016 ha pronunciato la separazione dei coniugi X eY e ha posto a carico del sig. X un assegno mensile di 400 Euro a titolo di contributo al mantenimento delle figlie maggiorenni e non ancora indipendenti economicamente e un assegno mensile di mantenimento in favore della sig.ra Y di 150 Euro mensili. Ha respinto la domanda di addebito della separazione proposta dalla Y e ha compensato interamente le spese di lite.
2. Ha proposto appello dinnanzi la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, Ma Y insistendo nella domanda di addebito in considerazione della relazione extra-coniugale intrattenuta dal marito e dell’abbandono del domicilio coniugale. Circostanze che avrebbero determinato la crisi irreversibile del matrimonio. Ha contestato l’appellante la mancata ammissione delle prove testimoniali richieste e ritenute dal Tribunale generiche e insufficienti.
3. La Corte di appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari, ha respinto il gravame rilevando che le prove testimoniali articolate dalla appellante in primo grado non erano state ammesse per la loro genericità mentre all’udienza di precisazione delle conclusioni non vi era stata alcuna richiesta di revoca dell’ordinanza di rigetto ma solo una generica richiesta di accoglimento delle conclusioni “assunte nei rispettivi atti”.
4. Avverso la sentenza della Corte d’appello Y propone ricorso per cassazione articolato in due motivi.

Ritenuto che

5. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.c, la violazione e falsa applicazione degli artt. 184, 189, 346 c.p.c. laddove il giudice del gravame ha ritenuto l’appello infondato, sull’assunto per cui le istanze istruttorie di cui al primo grado, rigettate con ordinanza, non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni, sono da intendersi rinunciate.
6. Il motivo è infondato. Correttamente la Corte di appello ha richiamato la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. sez. VI-2 n. 10748 del 27 giugno 2012) che afferma come l’interpretazione degli artt. 189, 345 e 346 cod. proc. civ., secondo cui l’istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata, non determina alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto ad un giusto processo, poiché dette norme processuali, per come interpretate, senza escludere né rendere disagevole il diritto di “difendersi provando”, subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda della parte che, se rigettata dal giudice dell’istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa, così garantendosi anche il diritto di difesa della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non espressamente richiamato. La interpretazione della volontà della parte di ritenere implicita la conferma della richiesta di ammissione delle prove non è consentita perché preclusa dal principio della assoluta inequivocità della posizione difensiva sottoposta al giudice che deciderà la causa al fine di tutelare il contrapposto diritto di difesa della parte avversaria e dal regime dei “nova” in appello relativamente alle istanze istruttorie (Cass. civ. sez. II n. 22709 del 28 settembre 2017, sez. III n. 16866 del 10 agosto 2016 e n. 9410 del 27 aprile 2011; cfr. anche Cass. civ. sez. I n. 15860 del 10 luglio 2014 e Cass. civ. sez. II n. 15875 del 10 settembre 2015).
7. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ex art. 360 n. 5 c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione fra le parti, in violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 143, 146, 151, laddove il giudice del gravame non ha motivato sulla circostanza dell’abbandono del tetto coniugale da parte del X, quale causa di addebito della separazione.
8. Il motivo è inammissibile perché la Corte di appello ha ritenuto che la mancata proposizione delle istanze istruttorie, oltre a costituire l’oggetto esclusivo del gravame, si riferisse alla domanda di addebito nel suo complesso senza distinzioni, quindi, per ciò che concerne la richiesta di addebito, tra la deduzione di infedeltà coniugale e di abbandono del tetto coniugale. Si tratta di una valutazione logica che si giustifica con la interrelazione esistente fra i due comportamenti. Il fatto in sé dell’abbandono del tetto coniugale doveva comunque essere provato non solo quanto alla sua concreta verificazione ma anche nella sua efficacia determinativa della intollerabilità della convivenza e della rottura dell’affectio coniugalis. La giurisprudenza ritiene infatti che non costituisce violazione di un dovere coniugale la cessazione della convivenza quando ormai il legame affettivo fra i coniugi è definitivamente venuto meno e la crisi del matrimonio deve considerarsi irreversibile (cfr. Cass. civ. sez. VI-1 n. 25966 del 15 dicembre 2016 secondo cui “l’allontanamento di uno dei coniugi dalla casa familiare costituisce, in difetto di giusta causa, violazione dell’obbligo di convivenza e la parte che, conseguentemente, richieda la pronuncia di addebito della separazione ha l’onere di provare il rapporto di causalità tra la violazione e l’intollerabilità della convivenza, gravando, invece, sulla controparte la prova della giusta causa”). Relativamente a questi profili il ricorso si dimostra privo completamente di autosufficienza ed equivocamente prospettato sia come omesso esame che come violazione dell’art. 112 c.p.c. 9. Il ricorso per cassazione va pertanto respinto senza statuizioni sulle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Dispone che in caso di pubblicazione della presente ordinanza siano omesse le generalità e gli altri elementi identificativi delle parti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 comma 1 bis del D.P.R. n. 115/2002.